20120919

#160 (Trilogia del mattino - iQ#19/20/21)

Che strano svegliarsi
accanto a qualcuno
che non sei tu.

Mattina.
Siamo solo scheletri
rivestiti di sogni.

Ti avvicini.
Un bacio.
Svanisci. Come un fantasma.

#159 (iQ#18)

Piedi in attesa
dell'inverno.
Il freddo ti fa bella.

20120824

#158

L'edificio di due piani era stato tirato su un milione di anni prima all'angolo tra le due strade, piantato nel punto in cui la provinciale getta una traversa fin dentro il paese. Chi lo guardava dal davanti vedeva solo il bar al piano terra, le vetrine oscurate, le sedie spaiate, gli ombrelloni chiusi, i tavolini di plastica sbiaditi dal sole e l'insegna che prometteva mariscos (tapas e raciones) in un rosso rosicchiato dal vento e dalla salsedine. Ma chi girava l'angolo e lo guardava di lato scopriva il grande muro di onduline frangifuoco imbiancato alla meno peggio e un'unica finestra al secondo piano, le imposte chiuse, le tende tirate, e sotto al davanzale un neon con scritto EDEN a fare l'occhilino. È così che tutti la conoscevano ormai, Eden, è così che la chiamavano, anche chi sapeva che il suo nome era Teresa. E anche se ormai il neon non funzionava più e lo si poteva vedere praticamente solo di giorno, tutti sapevano che di notte, quando il bar chiudeva, Eden metteva in vendita le sue freschezze (tapas o raciones), prigioniera come una principessa in un incubo di provincia.

#157

La fine del mondo è un po' più in là, dopo il parcheggio, proprio dietro quella curva. E poichè qui in zona suonerebbe blasfemo affermare di sapere cosa c'è oltre, il Signore o chi per lui ci ha regalato una splendida mattina di nebbia.
Sono tentato di fare qualche domanda all'autista del bus, che con la fine del mondo fa avanti e indietro ogni giorno, ma alla fine mi accontento della mia ignoranza. E dopo aver rischiato varie volte la vita per arrivare fin qui, oltrepasso il faro, salgo sugli scogli, fisso lo sguardo nel vuoto grigio e umido davanti a me e mi arrendo all'evidenza che non ho visto niente.

#156 (Dittico gallego - iQ#16/17)

Gli alberi compaiono
come fantasmi
nella nebbia.

E le navi sono spettri
nei porti
mangiati dal tempo.

20120724

#155 (iQ#15)

Luglio in città.
Concerto per grandine
e antifurti.

20120702

#154 (Poesia del compleanno)

Dietro Trieste albeggia

e il grande bastimento
è rimorchiato in porto.

Il pescatore sul molo di Muggia
ha appena preso all'amo qualcosa
e adesso si accende una sigaretta.

Sotto la mia finestra le formiche
hanno ormai scoperto i resti della mela
che ho lasciato cadere e si riuniscono
confabulando tra loro sul da farsi.

Qualcuno nella stanza dorme ancora
dietro di me, che scatto una foto
e penso che tutto è chiaro, luminoso
eppure sconvolgente, come quando l'uomo
ha scoperto che il sole è fermo e la terra no.

20120615

#153 (iQ#14)

Al supermarket
non comprare würstel.
Forza di volontà.

20120613

#152

Preda dell'abitudine e della paranoia, quando era a letto in cerca di riposo faceva ormai fatica a distinguere le continue scosse di assestamento dal battito del cuore nella pancia.

20120608

#151

Non mettevamo la musica a palla perché ci faceva paura il silenzio. Il silenzio non ci imbarazzava. Anzi, ci piaceva. Ma ci piaceva di più la musica.

20120606

#150

Potrebbe tranquillamente essere così, ripeteva tra sé. Tranquillamente così. Forse non tranquillamente, si ripeteva, ma potrebbe. Così.

20120604

#149

Hanno detto che ci voleva un volto comune, autorevole ma comune, paterno ma comune. Preso dalla strada, fra la gente, deciso e bonario ma pur sempre comune. E ora mi ritrovo dappertutto, ovunque affisso ai muri nella città, per le strade, tra la gente, con quell'espressione indefinta che mi hanno messo in faccia, con lo sguardo all'infinito e un completo di lino bianco, panama a tesa larga in testa e la mano destra protesa in un gesto affermativo tanto falso quanto scontato.

20120531

#148

Il suo volto compare la prima volta dietro a un finestrino del treno che ho intenzione di prendere; poi è improvvisamente in ogni vagone di ogni treno della stazione in cui aspetto. Il treno comincia a muoversi, e da ogni finestrino di ogni scompartimento l'uomo si affaccia ancora, continuamente nella stessa posizione, ripetutamente davanti a me, indipendentemente dal movimento del treno, come un incubo a ripetizione. Quando corro per saltare di nascosto tra un vagone e l'altro, è ancora lui che mi tende la mano e mi aiuta a salire.
"Con questa stretta" dice accendendo poi due sigarette e porgendomene una, "sei ufficialmente diventato anche tu un viaggiatore acrobata."
Facciamo un lungo tratto di strada assieme senza quasi mai parlare, e ci salutiamo fraternamente quando arriva il mio momento di scendere per tornare a casa.
La villetta sorge presso una curva lungo i binari, il giardino è curato anche se sembra abbandonato, gli attrezzi ancora ammucchiati ordinatamente presso il muretto che abbraccia l'orto. Quando entro in casa mia madre è lì, come l'anno scorso, più vecchia di un anno. È di spalle, e non si volta a guardarmi. E lui è anche lì, accanto a lei, e mia madre si rivolge a lui chiamandolo col mio nome, trattandolo come un figlio, come se fosse suo figlio. Come se fosse me. E capisco che con quella stretta ho dato molto più io a lui di quanto lui abbia dato a me.

20120526

#147

L'auto era una cadillac bianca che ci eravamo procurati pochi giorni prima, di quelle coi sedili di pelle neri messi per lungo e il vetro divisorio tra l'autista e i passeggeri, e le tre signore pesantemente ingioiellate e impellicciate sembravano molto contente del trattamento.
Vladich se ne stava in silenzio a fissare il panorama innevato che scorreva fuori dai finestrini rigati di pioggia, mentre io facevo da cicerone:
"Lassù è la zona dei russi, poi più giù viene quella dei polacchi, e qui siamo in quella degli jugoslavi."
"Ma siamo passati anche per quella dei finlandesi," precisò con una certa premura una delle tre signore. Era quella da cui ero stato colpito fin dal primo momento. Non era attrazione fisica, la mia, ma più come se ci fossimo già incontrati, e in quel momento non potevo nemmeno sospettare che fosse in realtà mia madre.
Quando l'autista (un albanese che avrà avuto a stento sedici anni) cambiò improvvisamente strada, fummo tutti sballottati di qui e di là, e mi ritrovai ingarbiugliato tra pellicce, sottane e grosse porzioni di carne calda e morbida. La cosa aveva preso un po' alla sprovvista anche Vladich e me, pure se conoscevamo bene i pericoli del viaggio e sapevamo che la possiblità di dover deviare senza preavviso per vie più sicure era sempre sietro l'angolo.
Attraversammo di tutta fretta le dischariche, città di rottami d'auto e frigoriferi e resti della civiltà appena passata, abitate dagli ultimi della terra, gente senza patria né religione. Ci fermammo solo per far pisciare le signore; e mentre Vladich teneva aperto lo sportello con un piede, io aiutavo mia madre, accovacciata su un canaletto di scolo accanto alla strada, a non sporcarsi la sua bella gonna di velluto.

20120524

#146 (iQ#13)

Scorrer d'acqua
all'alba.
Il bagno della porta accanto.

#145 (iQ#12)

Cammina
come se tutto le fosse concesso.
E lo è.

20120515

#144

S'alza il fumo da mezzo a una cascina abbandonata, senza tetto, tra i campi di nebbia. Viaggio indietro nel tempo fin prima del tempo di questo magro focolare di probabili barboni, fino al tempo del tetto e delle bestie, quando le macchine non erano coperte dalla ruggine e all'alba s'era già nei campi a sgobbare. Poi mi fermo e torno un po' avanti, fino al tempo dell'ultimo abitante, il tempo esatto in cui chiude la porta per l'ultima volta e se ne va, uscendosene per i campi, verso dove non riesco a vedere. E mi chiedo se sapeva che era l'ultima volta, o se aveva piuttosto l'intenzione di tornare e poi chissà, chissà cosa l'ha tenuto via per sempre, dopo le bestie e dopo le macchine. Lo vedo chiudere la porta a chiave, mettersi le chiavi sotto alla camicia, attaccate per una catenella. Lo vedo lasciare la cascina vuota e ancora ammobbiliata, il tetto ancora in piedi. Tutta legna da bruciare, che brucia, ormai bruciata.

20120417

#143 (iQ#11)

Certa d'esser sola,
piega in quattro
una metafora.

#142

I miei sogni non ti assomigliano. Hanno capelli diversi, altri occhi, persino il colore della pelle a volte non corrisponde.

20120327

#141

George Harrison, un robot programmato per perseguitare (e, in casi estremi, uccidere) i suoi simili che ancora si ostinavano a parlare le proibite lingue eterne, aveva passato l'intera mattina a piangere e lamentarsi sul sedile posteriore della sua limousine bianca, su per le salite e le curve del Vomero Alto fino allo spiazzo di San Martino, dove il suo autista se n'era rimasto fuori a fumare e a fissare quella parte del golfo che conosceva ormai così bene, pensando ai fatti suoi.
Quel pomeriggio, nella torre circolare innestata in quella che era stata prima la casa disegnata da e poi il museo dedicato a Curzio Malaparte, incontrò John Lennon e il suo protettore Tzvetan Todorov, allora direttore della Novaya Gazeta, che giocavano a scacchi su uno dei divani semicircolari perfettamente allineati all'enorme vetrata antiproiettile resa obbligatoria dalla circostanza.
Mentre stringeva nervosamente il suo bicchiere di Martini molecolare e i cubetti di ghiaccio tintinnavano impercettibilmente, (era d'altronde famoso per la sua mano tremolante, che restava perfettamente ferma solo quando doveva sparare) le pedine del suo migliore amico venivano strette d'assedio da quelle del temibile ma leale magnate bulgaro.
Completo bianco, capelli lunghi, il volto ridotto a uno smile di metallo satinato con un unico bulbo oculare meccanico simile a un oblò di vetro blu, Lennon stava sorridendo al suo antagonista, che gli sorrideva di rimando con sguardo ironico e bonario. "Se me lo dovessero mai chiedere, confermerò che hai tentennato a lungo," disse, "e che hai spesso rischiato di fallire, prima di farmi fuori definitivamente."
E Harrison, che come Todorov comprendeva benissimo quella lingua, (e che altrettanto bene sapeva che quando fosse rimasto l'ultimo a parlarla avrebbero mandato qualcuno a eliminare anche lui) fu certo che non era col padrone di casa che stava parlando.

20120321

#140

Subito dopo aver litigato con i suoi vecchi al telefono, e aver praticamente sbattuto fuori casa la sua tipa, una cosa gli fu improvvisamente e definitivamente chiara: non si può fare il rock'n'roll e contemporaneamente stare attenti ai broccoli sul fuoco.

20120314

#139

Sembravi più bella di quanto non lo fossi in realtà. Ma guardandomi allo specchio mi resi conto che anch'io lo sembravo. Mentre nella calda mattinata portuale tu già scaricavi i primi container col tuo ragazzo, il fatto che io dormissi ancora alle dieci passate rappresentava indubbiamente un ostacolo, e alzava una barriera tra noi; non tanto per l'ovvia questione pratica, quanto perché fino a quando non mi fossi dato una svegliata non sarei stato degno della tua considerazione. Ma mi aveva colto un torpore inspiegabile, di cui ti giuro che non andavo fiero. Così quel pomeriggio ti tenesti molto a distanza, in tutti i sensi, e io cercavo continuamente di riavvicinarmi, in tutti i sensi. Quando provai a toccarti mi guardasti come se ti avessi gravemente offesa. Però poi fosti tu stessa a comparirmi di soppiatto alle spalle e a prendermi la mano, costringendomi a inseguirti mentre scappavi sulle assi di legno riarso sotto le tende del molo. Sfuggimmo alla calura e ci rifugiammo in una delle stanze più fresche. Fu lì, sul divano malmesso, che finalmente ci demmo il primo bacio.

20120305

#138 (iQ#10)

Erano pezzi sparsi
di legno.
Ora sono un letto.

20120303

#137 (iQ#9)

Notte insonne.
Maledetti uccellini
del mattino.

20120302

#136 (iQ#8)

Gita in provincia.
Vento negli occhi
e indigestione.

#135 (iQ#7)

Volevo solo scuoterti.
Ho finito
per abbatterti.

20120301

#134

La prima notte furono più che altro movimenti scoordinati, spasmi improvvisi e incontrollati, tremori e singulti, resi più angoscianti dal suo stato di incoscienza. Mi voltai a fissarla nel buio, le toccai una spalla e aspettai che si acquietasse.
Quella successiva furono invece note musicali, una rapida successione di toni binari, gemelli, ripetuti in maniera modulare, una vera e propria melodia, breve e perfettamente intonata, sussurrata a bocca chiusa e che pure bastò a svegliarmi. Stavolta fu necessario chiamarla per nome e scuoterla leggermente, prima che si rilassasse.
Stanotte a destarmi è stato lo strofinio leggero ma insistente delle dita sul lenzuolo, come se stesse battendo a macchina. Ha smesso appena l'ho abbracciata, solo per cominciare subito dopo a battere i denti, in un tichettio del tutto simile a quello di un telegrafo che riceva un messaggio in codice morse. È stato solo in quel momento che ho cominciato a sospettare che stesse funzionando come una telescrivente, e che io fosse il destinatario del messaggio che portava.

20120229

#133

È la versione migliore di me. Fa l'elemosina proprio nel momento in cui decido di essere stufo di farla, si ferma a parlare con gli sconosciuti che sembrano aver bisogno di aiuto per trovare la loro strada, chiama a casa per chiedere ai miei come stanno, è gentile quando io sono antipatico, utile quando io sono menefreghista, presente quando io mi eclisso.
È sempre un passo avanti a me, come per controllare che il mio cammino sia sicuro, o segue i miei passi come un angelo custode, o addirittura ripercorre i miei passi in cerca di qualcosa che ho dimenticato o perso.
Mi somiglia, perfino, anche se la sua barba è già bianca, i suoi occhiali piccoli e spessi e il cappello vecchio e logoro. È come potrei essere io tra qualche anno. O come vorrei essere. O forse semplicemente come sarei potuto essere se solo avessi voluto.

20120217

#132

Eccitante e terribile rendersi conto, passeggiando con la cuffia sulle orecchie, quanto bene s'inserisca l'ululato di quell'ambulanza laggiù nella melodia di Everybody's Gonna Be Happy suonata dai Kinks.

20120210

#131 (iQ#6)

Giorno di neve,
poi di fango.
Fine della poesia.

#130 (iQ#5)

Altri dieci minuti,
stamattina.
La prossima sveglia.

#129 (iQ#4)

Troppe barbe.
Se non in minoranza,
sono in errore.

#128 (iQ#3)

Eco-egoista:
non metto al mondo
un altro di noi.

#127 (iQ#2)

Sulle strisce,
terrore d'autista.
Bel modo di morire.

20120202

#126 (iQ#1)

Sul settanta,
qui in attesa.
Il tempo di arrivare.

20120201

#125

La nostra relazione è come questo vecchio materasso gonfiabile: per evitare di toccare il fondo quando ci si stende in due, è consigliabile allontanarsi l'uno dall'altro, di tanto in tanto, fino a trovare un equilibrio, per quanto instabile. Il rovescio della medaglia è che quando ci si stende da soli, toccare il fondo è inevitabile. A intervalli più lunghi è comunque necessario poi alzarsi del tutto, e rimettere mano al gonfiatore.

#124

"E tu chi sei?"
"Io non sono nessuno, e lei?"
"Io sono il padrone di questo posto."
"Il padrone? Questo posto appartiene a lei non più che ai suoi clienti. Anzi sono i suoi clienti a possedere lei, perché lei dipende da loro, ma non è vero il contrario."
"...."
"...."
"Come ha detto di chiamarsi?"
"Non gliel'ho detto. Ma di certo non sono un suo cliente: non mi servirei mai da qualcuno che dà del lei agli altri solo quando comincia ad averne paura."

#123

Bisogna guardargli le gambe, alle donne. Le gambe sono importanti, ti portano in un sacco di posti. E le donne più forti sono quelle con le gambe più belle.
Non lasciarti abbindolare da uno sguardo, per quanto intenso possa essere. Non lasciare che una bocca ti attiri a sé, per quanto sia sensuale. Alle donne devi guardargli il culo, percepire i muscoli tesi sotto la stoffa dei pantaloni.
È nelle gambe la vera bellezza, nell'assoluta incapacità di prevedere dove riusciranno a portarle.

20120131

#122

Sono ormai diversi anni che non ho più lo stimolo della fame. Non ricordo nemmeno l'ultima volta in cui ho avuto davvero bisogno di mangiare. La voglia sì, ma è un'altra cosa, confondo il desiderio con una qualasiasi altra spinta naturale. È questo che chiamano benessere?
È questo il progresso a cui tutti aspirano? Non mi manca niente, tranne la necessità di qualcosa.

20120125

#121

"I miei cappelli sono lordi."
"Allora dovresti nettarli..."

20120124

#120

Era persuaso che, nell'eterna lotta tra possesso ed esperienza, gli oggetti avessero ormai avuto la meglio su di lui, che le cose che possedeva avessero finito per possederlo, che il mondo inanimato avesse preso definitivamente il sopravvento. Sono i tempi che corrono, si diceva, viviamo in una realtà totalmente materiale, ci affezioniamo alle cose piuttosto che alle persone.
Ma non vedeva ancora che gli oggetti che comprava gli servivano in verità per procurarsi le esperienze che pensava di non vivere, e che a differenza delle persone bastava una manutenzione minima per evitarne il degrado.

20120119

#119

Hai cercato per anni la città ideale, che fosse quella giusta per te, e quindi sei arrivato qui. Ti sei chiesto cosa potesse fare questa città per te, senza chiederti piuttosto cosa potessi fare tu per lei, e da quando sei arrivato non hai fatto altro che prendere, senza dare nulla in cambio. Questa città è quella che tra tutte hai scelto, che tra tutte ti piace di più, ma non ti sei ancora fermato a considerare se per caso tu invece non piaccia a lei. Hai cercato l'amore a prima vista, per questo ti sei fermato qui: ma ti è mai venuto il dubbio che questo amore non sia corrisposto?