20110308

#107

Riconosco la loro lingua immediatamente, è inconfondibile come lo è il suono del ferro battuto. Sono bellissimi, una coppia perfettamente assortita, i lineamenti scolpiti nel legno, orecchini e vestiti che qui già a trent'anni si farebbe fatica a mettere, e loro vanno sicuramente già per i quaranta. Il sorriso dei Finlandesi è diverso da tutti gli altri. È un sorriso di riconoscimento. Non c'è compiacenza, nessuna presunzione, solo la schiettezza di riconoscere che siamo fatti nello stesso modo, che condividiamo gli stessi elementi, che apparteniamo alla stessa famiglia. Il loro sguardo gentile non prevede nulla in cambio, e nulla sottintende. Quando si spostano per farmi scendere dal tram li ringrazio nella loro lingua. Kiitos, dico, e loro allargano lo sguardo e fanno un leggero inchino.

20110305

#106

Ogni volta che riavvolgeva il cavo nero attorno al manico bianco del fohn gli tornavano in mente gli anni a Gush Katif, quando tutti i giorni, tra un pattugliamento e un raid, si stringeva sette volte la shel yad al braccio destro durante la preghiera del mattino. Tra il fatto che era mancino e quello di avvolgere la tefilláh dal bicipite verso l'avambraccio pur non essendo chassidim, si era procurato chissà perché non poche antipatie.
Oggi, quando gli chiedevano cosa ancora avesse in comune con i suoi commilitoni, rispondeva con le parole di un altro ebreo inquieto: "Non ho niente in comune nemmeno con me stesso."