20120327

#141

George Harrison, un robot programmato per perseguitare (e, in casi estremi, uccidere) i suoi simili che ancora si ostinavano a parlare le proibite lingue eterne, aveva passato l'intera mattina a piangere e lamentarsi sul sedile posteriore della sua limousine bianca, su per le salite e le curve del Vomero Alto fino allo spiazzo di San Martino, dove il suo autista se n'era rimasto fuori a fumare e a fissare quella parte del golfo che conosceva ormai così bene, pensando ai fatti suoi.
Quel pomeriggio, nella torre circolare innestata in quella che era stata prima la casa disegnata da e poi il museo dedicato a Curzio Malaparte, incontrò John Lennon e il suo protettore Tzvetan Todorov, allora direttore della Novaya Gazeta, che giocavano a scacchi su uno dei divani semicircolari perfettamente allineati all'enorme vetrata antiproiettile resa obbligatoria dalla circostanza.
Mentre stringeva nervosamente il suo bicchiere di Martini molecolare e i cubetti di ghiaccio tintinnavano impercettibilmente, (era d'altronde famoso per la sua mano tremolante, che restava perfettamente ferma solo quando doveva sparare) le pedine del suo migliore amico venivano strette d'assedio da quelle del temibile ma leale magnate bulgaro.
Completo bianco, capelli lunghi, il volto ridotto a uno smile di metallo satinato con un unico bulbo oculare meccanico simile a un oblò di vetro blu, Lennon stava sorridendo al suo antagonista, che gli sorrideva di rimando con sguardo ironico e bonario. "Se me lo dovessero mai chiedere, confermerò che hai tentennato a lungo," disse, "e che hai spesso rischiato di fallire, prima di farmi fuori definitivamente."
E Harrison, che come Todorov comprendeva benissimo quella lingua, (e che altrettanto bene sapeva che quando fosse rimasto l'ultimo a parlarla avrebbero mandato qualcuno a eliminare anche lui) fu certo che non era col padrone di casa che stava parlando.

20120321

#140

Subito dopo aver litigato con i suoi vecchi al telefono, e aver praticamente sbattuto fuori casa la sua tipa, una cosa gli fu improvvisamente e definitivamente chiara: non si può fare il rock'n'roll e contemporaneamente stare attenti ai broccoli sul fuoco.

20120314

#139

Sembravi più bella di quanto non lo fossi in realtà. Ma guardandomi allo specchio mi resi conto che anch'io lo sembravo. Mentre nella calda mattinata portuale tu già scaricavi i primi container col tuo ragazzo, il fatto che io dormissi ancora alle dieci passate rappresentava indubbiamente un ostacolo, e alzava una barriera tra noi; non tanto per l'ovvia questione pratica, quanto perché fino a quando non mi fossi dato una svegliata non sarei stato degno della tua considerazione. Ma mi aveva colto un torpore inspiegabile, di cui ti giuro che non andavo fiero. Così quel pomeriggio ti tenesti molto a distanza, in tutti i sensi, e io cercavo continuamente di riavvicinarmi, in tutti i sensi. Quando provai a toccarti mi guardasti come se ti avessi gravemente offesa. Però poi fosti tu stessa a comparirmi di soppiatto alle spalle e a prendermi la mano, costringendomi a inseguirti mentre scappavi sulle assi di legno riarso sotto le tende del molo. Sfuggimmo alla calura e ci rifugiammo in una delle stanze più fresche. Fu lì, sul divano malmesso, che finalmente ci demmo il primo bacio.

20120305

#138 (iQ#10)

Erano pezzi sparsi
di legno.
Ora sono un letto.

20120303

#137 (iQ#9)

Notte insonne.
Maledetti uccellini
del mattino.

20120302

#136 (iQ#8)

Gita in provincia.
Vento negli occhi
e indigestione.

#135 (iQ#7)

Volevo solo scuoterti.
Ho finito
per abbatterti.

20120301

#134

La prima notte furono più che altro movimenti scoordinati, spasmi improvvisi e incontrollati, tremori e singulti, resi più angoscianti dal suo stato di incoscienza. Mi voltai a fissarla nel buio, le toccai una spalla e aspettai che si acquietasse.
Quella successiva furono invece note musicali, una rapida successione di toni binari, gemelli, ripetuti in maniera modulare, una vera e propria melodia, breve e perfettamente intonata, sussurrata a bocca chiusa e che pure bastò a svegliarmi. Stavolta fu necessario chiamarla per nome e scuoterla leggermente, prima che si rilassasse.
Stanotte a destarmi è stato lo strofinio leggero ma insistente delle dita sul lenzuolo, come se stesse battendo a macchina. Ha smesso appena l'ho abbracciata, solo per cominciare subito dopo a battere i denti, in un tichettio del tutto simile a quello di un telegrafo che riceva un messaggio in codice morse. È stato solo in quel momento che ho cominciato a sospettare che stesse funzionando come una telescrivente, e che io fosse il destinatario del messaggio che portava.