20081229

#49

Fissa in piedi il divano, un cuscino sotto un braccio, una coperta sotto l'altro. L'ultima immagine a cui lega la vista di questo divano è quella di suo padre che riempie cruciverba ascoltando i Green Day da una piccola radio a transistor priva di bassi. E' lo stesso divano sul quale il padre l'ha fotografato in un costume da cowboy a sette anni, e lo stesso su cui vent'anni anni dopo suo padre avrebbe poi aggiustato quella stessa macchina fotografica che aveva usato per scattargli quella foto. La stessa macchina che aveva usato lui stesso per fotografare suo padre mentre riempiva cruciverba sul divano ascoltando la radio, e la stessa che userà adesso per fotografare questo stesso divano prima di dormirci lui stesso.

#48

E' stato bello farti venire,
piuttosto che lasciarti andare.

20081124

#47

Mi sono ripromesso di non fare più uso di eccitanti, di eliminare tutte le pietanze speziate, di evitare le bevande che contengono caffeina. Ho eliminato dalla mia dieta perfino le anfetamine, (per non parlare della cocaina). In sostanza mi sono ripromesso di allontanarmi da tutto ciò che fa battere più forte il cuore, perchè è questo che fanno gli eccitanti: ci avvicinano alla morte.
Secondo questa teoria, la teoria che ho deciso di non sfidare con la pratica, tutti noi abbiamo un numero limitato e prestabilito di battiti cardiaci; questo numero può variare da persona a persona, ma nessuno sa quanti gliene siano stati predestinati. Così, ogni volta che il cuore batte più veloce, accorciamo la durata della nostra vita.
E' per questo che ho deciso di evitare gli eccitanti.
Ed è sempre e proprio per questo che ti chiedo di considerare con la massima attenzione (e preoccupazione) i miei sentimenti per te, perchè è per te che sto rubando alla mia vita questi minuti preziosi.

20081119

#46

Un aereo atterra sulla stessa pista da cui un altro è appena partito; ci chiediamo cosa sarebbe successo se per una qualsiasi ragione il primo avesse dovuto ritardare.
E' ormai notte. Siamo in fila come ad un casello, a bordo di un veicolo nazionale, in attesa della partenza. Da qui possiamo vedere con i nostri occhi cosà sarà di noi tra pochi istanti.
Una volta in volo scorgiamo ad est le luci intermittenti bianche e rosse di un aereo in arrivo il che, se aggiunto all'abitudine con cui ormai sfidiamo ciecamente la morte, ci fa sentire come in autostrada, l'emozione del volo lontana anni luce, coniugata al passato remoto.
Dai novemila metri d'altitudine a cui procediamo nel buio osserviamo come scienziati il sistema vascolare e i centri nervosi che formano la parte abitata della nostra terra, registrati da reagenti luminosi che ne rivelano la concentrazione degradante man mano che ci avviciniamo alle alpi, dove, tra le cime irrealmente innevate, la notte si fa sempre più nera, fredda e profonda.

20081014

#45

"La realtà?"
Mio padre mi fissa, i suoi occhiali di vinile e la sua barba grigia, seduto sulla stessa poltrona su cui l'ho sempre visto seduto negli ultimi due anni. La vecchiaia è arrivata anche per lui, come per nessun padre un figlio si aspetta mai che arrivi; però il suo sguardo è sempre lì, sprezzante e derisorio come se fossi ancora il bambino un po' autistico che fatica a rapportarsi col mondo.
Fuori c'è il sole e oggi, mercoledì, indosso la cravatta di lino bianca con su stampate le parole d'addio del mio scrittore preferito, (che si è suicidato impiccandosi con la sua cravatta di lino bianca. Un indumento di dubbio gusto, insomma).
Mio padre sembra avercela con me perfino per questo.
"Chi è dei due?"
"Chi?"
"Quello che s'è ammazzato. Non mi ricordo mai chi è dei due, Pierre o Gilles?"
"Pierre. Gilles è quello che scrive sempre di gente che si suicida."
"E tu credi davvero alle parole di uno che ha messo fine alla sua vita?"
"Cosa c'entra questo con la realtà?"
(I suoi occhiali di vinile, la sua barba grigia e la sua pipa d'osso, mi sono dimenticato di menzionare la sua pipa d'osso, l'odore dolce e nauseante del fumo che l'ha sempre circondato, ovunque andasse, e che in questo momento mi fa venire in mente le 'ultime parole fumose', un gioco di parole particolarmente adatto all'occasione).
"La realtà non esiste, se non come serie di azioni votate alla sua negazione. E' reale il fatto che qualcuno abbia scritto, ma non si può dire lo stesso di ciò che è stato scritto."
"Ma non è il suicidio quell'azione che mette fine a tutte le altre?" Cravatta bianca contro occhiali, barba, pipa, e quello sguardo. "Non è il suicidio, dunque, l'azione delle azioni? Non è per questo più reale di tutte le altre?"
Si sposta leggermente sulla poltrona, combattendo alla ricerca di qualcosa a cui non crede ma che basti a contraddirmi a proposito del suicidio, ed io sono improvvisamente certo che negli ultimi due anni non abbia pensato ad altro.

20081009

#44

Tornato a casa dei suoi ancora una volta, come ogni volta cerca di farsi tornare in mente i passi del loro ballo casalingo, gli ingredienti della ricetta tradizionale che con fatica e affetto fa ancora funzionare la gestione di quella microcomunità che può sempre e comunque chiamare la sua famiglia: i piccoli spostamenti di oggetti che rendono la sua stanza sempre meno simile alla sua stanza e sempre più simile alla stanza di qualcun altro; le pantofole del padre (decorate con scene di polo), da indossare sotto al pigiama di flanella (a motivi chachemere) che la madre gli fa trovare sotto al cuscino; il ritrovamento di api e vespe stordite e smarrite nella verandina sul balcone; l'incredibile rigogliosità di una pianta semigrassa che lui invece, a casa sua, a stento riesce a tenere in vita; il rasoio del padre, col quale taglia via la barba dal collo e dagli zigomi mentre le donne, da qualche altra parte, eliminano a loro volta i propri peli; i bisogni grandi nel bagno grande, i bisogni piccoli nel bagno piccolo; la sigaretta della madre, sempre accesa perfino mentre sbuccia la frutta per tutti o lava i piatti da sola; le prime inconfutabili e per niente ironiche constatazioni di alzheimer dei suoi genitori; gli improvvisi, silenziosi ammutinamenti di sua sorella; tre televisori accesi in tre diverse stanze; la manutenzione delle vecchie serrande di legno; Mina e i Dire Straits da ascoltare esclusivamente in auto; la paura, alla fine della strada, per un posto di blocco che faccia arrivare tutti tardi a quest'ennesimo matrimonio.

20080916

#43

E tu?
Io cosa.
Con chi vorresti batterti tu?
Ci pensò per un attimo. Con David Foster Wallace, disse.
Troppo tardi.
Non me lo ricordare.

20080911

#42

Avete mai giocato, seduti sul water di un bagno pubblico, a determinare qual è il punto esatto di non ritorno dopo il quale non è più possibile fermare la dolorosa, estatica separazione da tutto ciò che di più infimo e sporco era relegato fino all'istante precedente nel vostro corpo? Bene, io lo sto facendo in questo preciso istante, e non è affatto divertente. Me ne sto qui, seduto sul cesso del bagno dell'ufficio, cercando di non farmi notare dal tizio che è appena entrato.
Ne ho sentite tante in questo bagno, uomini che sbuffano e soffrono mentre scorreggiano, altri che piangono mentre cercano disperatamente di pisciare, altri ancora che armeggiano con la fibbia della cintura presumibilmente masturbandosi per poi scappare senza tirare lo sciacquone e senza lavarsi le mani; però mai in tutta la mia vita niente di paragonabile a quel che sto ascoltando in questo momento. L'essere si dibatte appena fuori dalla mia porta, struggendosi e lamentandosi. Sta ringhiando. Posso percepire il rumore delle unghie dei suoi piedi sul pavimento, l'attrito rugoso delle sue dita come carta vetrata sulle mattonelle. Ho l'impressione che sia enorme e molto incazzato. A dirla tutta ne ho una paura terrificante, e temo di non poterla trattenere ancora a lungo: che farà quando si accorgerà di me? Avverte già il mio odore? Lo sento annusare l'aria, disperato e selvaggio. Sta facendo avanti e indietro come un animale in gabbia, di umano ha ben poco, e nessuno entra in questo maledetto bagno!
Ora la sua puzza di terra penetra le pareti della scatola per sardine dove sto affondando nel mio stesso sudore. Guardando il pavimento posso vedere l'ombra oscura di qualcosa di spaventoso e plurale che si avvicina alla mia porta.

20080910

#41

Il signor Buonaventura, dopo una vita intera passata a disprezzare i superstiziosi che a tavola si gettano dietro le spalle il sale incautamente appena versato sulla tovaglia, che si bloccano agli incroci tra le strade se un gatto nero gli ha attraversato improvvisamente la strada, che non passerebbero sotto una scala a pioli nemmeno se fosse l'unica via di salvezza da morte certa, e che di Venerdì 17 non fanno nulla, nemmeno uscire di casa, come gli Ebrei durante Shabbat, si chiede ora, alla fine dei suoi giorni, contemplando gli anni col senno di poi, a ritroso, come in un bilancio economico, se la vita che ha avuto, nè povera nè ricca, nè triste nè allegra, nè vuota nè piena, avrebbe potuto essere diversa, diciamo, se quel giorno avesse evitato di passare sotto quella scala, e se quell'altro, per esempio, avesse aspettato che qualcuno prima di lui attraversasse la linea tracciata dal gatto nero sulla sua strada. Non è questione di fortuna e sfortuna, si ripete fissando a caso un quadro sfocato in fondo alla grande stanza d'ospedale dove riposa, non pensa che sarebbe potuto diventare famoso, o stimato, o ricco, ma solo che avrebbe potuto avere forse una vita migliore, ecco, e non quest'ennesimo rimpianto su cui perdere il sonno a notte fonda.

20080905

#40

Ho sempre il tuo nome sulla punta della penna.

#39

Riconosce ormai, anche a distanza, la forma del suo corpo, il movimento del suo arrivo. Invoca la sua comparsa in fondo alla strada come un talismano contro il pericolo di una brutta giornata.

20080811

#38

Mezz'ora dopo è ancora sul balcone a fissare il contenuto del piatto che ha davanti, considerando la somiglianza degli scuri semi d'anguria a neri scarafaggi bagnati ed immobili, mentre dai tetti vicini le tortore cantano Dadaumpa fuori sincronia, e dai capelli lungo la fronte fin negli angoli degli occhi il sudore scende a bruciargli la vista, e le mosche aggirano nervose il suo cranio, e il temporale sta ormai per arrivare.

20080809

#37

Scelgo le mie vittime già sul vagone del metrò. Lo faccio senza una cura particolare. Certo è importante che siano carine, ma a volte non si può andare tanto per il sottile, come lei può ben immaginare i tempi sono stretti e capita di dover sparare un po'a caso nel mucchio, se mi concede la metafora. Altrimenti decido direttamente sulle scale: sa, bisogna sempre calcolare anche la gente che esce dagli altri vagoni, è possibile che ci sia una ragazza più carina; e poi non è detto che quella su cui ho già messo gli occhi scenda alla mia stessa fermata. Comunque, una volta individuata la donna giusta la seguo a distanza ravvicinata, contando sulla folla che ci circonda perchè non si accorga di me. E poi, una volta che prende il tornello d'uscita, m'infilo dietro di lei in modo da utilizzare la spinta già impressa per far meno fatica ad attraversarlo io stesso. E' necessario però stare molto attenti ad assecondare il movimento coi tempi giusti, altrimenti si rischia di avercelo contro, e la fatica raddoppia. Ora non deve pensare che faccia tutto ciò per pura pigrizia... vuole mettere la soddisfazione di essere servito da belle ragazze sconosciute? Tanto poi, passato il tornello, generalmente mi disinteresso per sempre di loro, e dopo una rapida occhiata le lascio andare per la propria strada.

#36

Signora, che vuole che le dica? Io son stata fortunata. Il mio Piero era un bambino tanto difficile, mai un amichetto, mai una fidanzatina, sempre solo in cameretta coi suoi modellini. Aeroplani, trenini, macchinine e carrarmati, solo a questo pensava. Grazie a Dio adesso coi giocattoli ci lavora. Dovrebbe vederlo, nel suo negozietto... un tesoro. Pensi che ogni giorno arriva mezz'ora prima dell'apertura e prende a pulire tutto, il pavimento, le mensole, perfino la maniglia della porta e l'insegna. Io, per me, gli dò una mano come posso, sto in negozio a far la maglia o a badare all'attività quando lui è fuori per incontrare un fornitore. In fondo è sempre il mio Piero. Pensi che mette ancora le stesse maglie a righe bianche e blu, e i jeans corti, e le espadrillas di tela blu di quando era piccolo.

20080805

#35

Mettiamola così: qualsiasi attività umana, dalla formulazione di un pensiero alla produzione di una scorreggia, allorquando viene da qualcuno che non sia io stesso, mi sembra cosa ridicola e volgare. Quel che a me pare giusto e naturale, appena detto o fatto da qualcun altro diventa di una stupidità inaudita, di una banalità insensata. E questa sensazione è tanto più forte quanto più le cose in questione sono simili a quelle che io stesso faccio e dico.

#34

"Devi gestire la situazione, non puoi metterti a piangere ogni volta! Tu devi ascoltarmi, perchè non sono io ad essere cattivo, sei tu che non mi ascolti. Io non voglio arrabbiarmi, a me non piace arrabbiarmi, ma tu devi capirmi quando parlo. Capiscimi, perdio! E' l'unico modo di far funzionare le cose. Te lo dico io, te lo dice tua madre, te lo dice perfino tua nonna. Te lo dicono tutti. Per favore. E non te lo chiedo per favore perchè devi fare un favore a me, ma perchè vorrei che tu capissi che è l'unico modo di fare le cose. Hai due anni e mezzo, ormai. Quasi tre."

20080731

#33

La prima macchia era venuta presumibilmente dal nulla, comparsa chissà come all'altezza del ginocchio sinistro in forma di irremovibile striscia di ruggine. Poi era venuto il confetto verde di una promessa di matrimonio che in tasca, bagnato della prima pioggia estiva raccoltasi sul paraurti posteriore dell'auto di suo padre mentre lui caricava la valigia della partenza, aveva rilasciato tutto il colorante in una mezzaluna di zucchero umidificato. E ancora frasche e cespugli su colline artificiali appena innaffiate in Agosto, a ordire la loro trama scura come ricordi su di una sindone. Le spille, poi, si sa, lasciano il segno, così come il rossetto altrui la traccia del suo passaggio. E gli schizzi di vernice blu e quelli di acquaragia, e gli acidi da camera oscura, e le pesche sciroppate, la confettura di ciliegia, il trascorrere del tempo a congiurare contro l'illibatezza dei suoi costosissimi pantaloni di lino bianco.

#32

Il problema estivo della signora L. era, come ogni estate da cinque estati, a chi lasciare il canarino Ulisse - detto Killer da quando aveva ucciso a beccate Penelope, la sua metà, per avere il doppio dello spazio nella gabbietta.
Il problema estivo della signorina G. - conosciuta anche come l'Ammazzanimali dopo che il suo canarino Morticia era morto come da copione d'inedia, e il suo gatto si era suicidato, e le sue due tartarughine d'acqua erano state mangiate dal cane (morto poi per soffocamento) - era diventato quell'estate come mai nessun estate prima, di tenere dunque il canarino del suo capo.

20080716

#31

“E poi,” riprese il professor Sirgundottir dopo una lunga pausa non necessariamente voluta, “tra il 2007 e il 2008 dev’essere successo qualcosa che ha cambiato totalmente le cose.”
Alle sue spalle ricostruzioni tridimensionali e abbastanza plausibili dell’Islanda del XXI secolo venivano proiettate a velocità supersonica, in modo che tutti i partecipanti al convegno potessero memorizzarle senza difficoltà. Erano immagini di un paese sconosciuto e primitivo, eppure di una bellezza sconvolgente, quasi terrificante. Nessuno di certo le avrebbe più dimenticate.
“Vorrei dunque sottoporre alla vostra attenzione alcuni componimenti di musica indigena registrati proprio in quei due anni. I supporti originali erano digitali, per cui un certo deterioramento è stato inevitabile e mi scuso per la qualità dell’audio. Ascolteremo ora di seguito Libraries dei Seabear, Rhuubarbidoo dei Mùm e Gobbledigook dei Sigur Ròs.”

20080627

#30

Cercare di capirla era come provare a fissare uno di quei corpuscoli trasparenti sospesi nell'umor vitreo che a volte compaiono nel campo visivo di chi resta sdraiato a guardare inebetito il cielo o il soffitto che sia: il movimento della pupilla che tenta di centrarli ne provoca invece lo spostamento, e più lo sguardo cerca di seguilrli, più quelli si allontanano, fuggendo verso i confini dell'universo liquido contenuto dall'occhio. Di loro si può avere solo un'esperienza sfocata e marginale, mai completa; così di lei, che per natura più che per volontà, non rendeva possibile di se stessa alcuna forma di comprensione.

20080625

#29

E finalmente ce l'avevamo di fronte, il nostro eroe, il mito della nostra tarda post-adolescenza inquieta, quando suonavamo pezzi palesemente scopiazzati da quelli che lui aveva scritto vent'anni prima con i Party Of Strangers, robe tipo 'And I Was, Uhm, Like, You Know? Wow!', il cui ritornello, allora resto a casa a grattarmi le palle mentre aspetto che torni, ancora ci ballava in testa mentre lui si rimetteva i pantaloni alla meno peggio e veniva verso di noi incerto, la mano tesa, per quanto possibile, a ricevere le nostre in un incontro che non sarebbe mai avvenuto.

20080623

#28

Di ritorno nella Grande Pera fortunatamente non trovo più la pioggia, bensì afa come se piovesse.

#27

Un obice spara un colpo nelle strade di Berlino, che non è ancora nè ost nè west. C'è qualcosa di ritmico nel rinculo del cannone e nei soldati che si accovacciano con le dita nelle orecchie come in una suite di danza contemporanea.
Un bambino raggiunge lentamente i genitori che si stanno riparando sotto un architrave dal futuro decisamente incerto. Anche lui ha le dita nelle orecchie, e non fa in tempo a toglierle che seguendo la sua perfetta partitura bellica l'obice spara ancora. Stavolta il colpo va a segno, e si porta via l'angolo di un palazzo che crolla in strada collassando su se stesso. Una donna entra in scena tirando un carrettino, cammina anche lei molto lentamente, non c'è molto senso a cercare riparo mentre tutto intorno il mondo sta esplodendo; la sua tranquillità sommessa mi colpisce all'inverosimile, specie quando si accorge della cinepresa e guarda in macchina.
La famiglia sotto l'architrave, intanto, fissa inebetita un punto indefinito al di là della strada, fuori dalla nostra percezione; quella che potrebbe essere la madre del bambino si gira dall'altra parte e muove un passo verso il buio dell'androne.
Allora, per l'ennesima volta, si torna all'obice che spara per la prima volta, e al bambino con le dita nelle orecchie, e poi all'architrave, e di nuovo all'obice, al palazzo che crolla, all'incrollabile rasegnazione della donna col carretto, e quindi alla famiglia sotto l'architrave, alla madre che si gira e così via, quindici secondi in tutto ogni volta, il loop interminabile che non posso fare a meno di guardare, il super8 in rotazione continua che non mi lascia andare.
Poi però il proiettore di ferma. Il fotogramma bloccato della donna che si gira è attraversato da un taglio orizzontale coi bordi che si anneriscono, e il bianco accecante della realtà prende il suo posto mentre la pellicola brucia e nessuno, dopo di me, potrà più vederla.

#26

Osservando dal finestrino del treno i cumuli di terra e detriti, i depositi di attrezzi abbandonati lungo le strade dissestate, la quantità enorme di materiale da costruzione in disfacimento e gli scheletri stessi degli edifici lasciati ad invecchiare al sole, si chiedeva se fosse possibile che tutta quella roba sarebbe rimasta lì, così per sempre.

#25

Nel giro di poco meno di cent'anni siamo in pratica passati dal concetto duchampiano secondo cui l'idea alla base di un'opera d'arte è più importante dell'opera d'arte stessa - in effetti diventando a volte l'opera d'arte stessa - a quella tutta attuale di un'opera d'arte che non necessita obbligatoriamente di un'idea che vi sottenda. Di fatto, se per Duchamp l'opera poteva non esistere concretamente a patto che esistesse l'idea alla sua origine, oggi assistiamo alla produzione continua di opere che prescindono totalmente da un'idea di base.

#24

"Le piace il jazz, Herr Wjzky?"
"Non di recente. Ascolto solo roba un po' fuori moda: Theloniuos Monk, Charlie Mingus, il primo Miles Davies..."
"Ah. Comprendo."
"In realtà non ne capisco molto."
"Vedo... Herr Wjzky, la sua modestia qui non le sarà di nessun aiuto."

#23

Brutto, bruttissimo periodo il Natale per andare a dire ai vecchi ebrei che gestiscono il nostro piccolo punto vendita in città che l'azienda non vuole che siano più loro a gestirlo, ma io; e brutta, bruttissima cosa che sia io in persona a doverglielo comunicare (questo il pessimo stile aziendale). I due signori che ho di fronte hanno già gli occhi lucidi, le braccia magre appoggiate con rassegnazione sullo stesso bancone pieno di adesivi e depliants per i cerca-casa su cui hanno poggiato quelle stesse braccia negli ultimi quarant'anni. Non avendoli trovati al mio arrivo, avevo lasciato un biglietto molto vago proprio su quel bancone, e una ragazza credo indiana e molto bella e molto antipatica mi aveva poi rincorso urlandomi contro che non ci sono più case disponibili ed era inutile che insistessi. Mezz'ora dopo sono qui a spiegare ai suoi datori di lavoro che non sono nemmeno sicuro di voler davvero fare il lavoro che penso che loro abbiano fatto meravigliosamente bene negli ultimi quarant'anni, e che è semplicemente successo che l'azienda pensa che dell'azienda diano al cliente un'immagine un po'vecchia. I clienti però continuanio ad entrare ed uscire. Si parlano decinde di lingue, qui dentro, tra cui l'italiano. Gli chiedo perchè mi hanno fatto fare tutta questa fatica, fino ad ora, parlando in tedesco.
"Per me è un casino imparare una nuova lingua, non è mica come per voi."
Ridono. Cosa sta succedendo tra noi? Mi dimentico di dirgli che è semplicemente successo che il padrone dell'azienda ha semplicemente pensato che fosse arrivata l'ora che suo figlio si desse da fare per l'azienda di famiglia, e che secondo lui il piccolo punto vendita in città era il modo migliore per iniziare, e che incidentalmente io ero suo figlio. Non c'è tempo per chiarire la cosa, comunque, per spiegare che siamo tutti vittime dello stesso sistema: il blackout da sovraccarico raggiunge la città verso le otto di sera, come al solito a Natale, le lumimarie cominciano a spegnersi in progressione le une dopo le altre, gli interni domestici si svestono degli addobbi natalizi e passano ad un buio anonimo ed austero. La neve in strada riflette nient'altro che la luna. E' allora che la banda di mocciosi casinisti del quartiere irrompe nel piccolo punto vendita e comincia la sua performance a base di candele, ululati e pattini a rotelle. Dei lumini di tipo cimiteriale vengono accesi. Una lanterna al neon viene posizionata da qualche parte su una trave del soffitto in modo da illuminare spettralmente a turno gli occhi dei bambini. La ragazza che prende posto sul divanetto per mettrsi i pattini si chiama Marja (15 anni al massimo) e mi chiedo se sia davvero possibile innamorarsi di lei ed essere ricambiato. Prende vita un gioco demenziale, metà trenino, metà danza tradizionale balcanica. Mi vengono dati un paio di pattini. Nel giro di cinque minuti entro a far parte del cerchio indemoniato, le mie mani sui fianchi di Marja, che si gira a guardarmi più spesso del necessario.

#22

Esattamente il giorno in cui vidi quell'enorme colonna di fumo nero dalla finestra del mio ufficio, una nuvola verticale sulla cui origine tutti io compreso ci sentimmo autorizzati chissà da quale potere divinatorio a fare congetture, ed uscii abbastanza tardi, e camminando verso casa dopo ore di mezzi pubblici maleodoranti ed assordanti vidi questa ragazza bellissima ad un incrocio, potete ovviamente non crederci, la ragazza più bella che avessi mai visto, capelli rossi ondulati, sandaletti bianchi e piedi ossuti con le unghie dipinte di rosso, golfino bianco aperto su un gran bel seno a fatica composto in un abitino nero e diviso in due, in maniera imbarazzante, dalla tracolla di una vecchia borsa di pelle, jeans aderenti quanto basta su gambe snelle e muscolose e culo alto e sodo, sguardo pulito e una bocca da morirci dentro, e le parole sei la ragazza più bella che abbia mai visto mi affiorarono tra i denti sbocciando direttamente dal petto, e perchè dovresti credermi? e come potresti mai pensare che dico maledettamente sul serio? che ti amerei davvero da questo istante fino a quello dopo la mia morte? cosa potrebbe convincerti che non sono come tutti gli altri? e anche in quel caso, perchè mai dovrebbe interessarti il mio amore? e ovviamente svanì attraversando la strada, allontanandosi verso la fermata degli autobus, eclissandosi tra due tram con uno di quei giochi da escapista che tutte le ragazze veramente toste conoscono, ed io rimasi con la musica di qualche gruppo di provincia nelle orecchie, qualcosa di periferico ma non di confine (erano i Feelies? i Life Without Buildings? o forse gli Smog?), e tutti venivano dalla direzione opposta alla mia, e tutti avevano facce sconvolte e dalle loro bocche uscivano urla che non potevo udire, e le luci in lontananza erano quelle della polizia ed erano quelle dei pompieri ed erano quelle delle ambulanze, e l'aria era diventata improvvisamente irrespirabile, e quell'edificio in fiamme totalmente distrutto, quello era stato casa mia.

20080612

#21

Avanziamo. Io e il mio fido secondo, a fatica e sudati sotto la coltre di lenzuola bianche stese tra le nostre trincee e quelle del nemico, nel corridoio della casa dove ho passato tutta la mia infanzia. I Cimbri sono accampati nella veranda in fondo, pronti ad invadere Roma. La legione aspetta solo un mio ordine per attaccare.
Sorpresa, sgometo e scompiglio, dunque, per il nostro improvviso ritorno sotto al fuoco nemico, mentre le prime linee cimbre velocemente gattonano esperte verso di noi.
Lanciamo molotov di acetone, rubato nell'armadietto del bagno di mia madre, ma le nostre retrovie impaurite s'accalcano codarde giù per la scala a chiocciola, verso la tavernetta. Non ci resta che dar fondo a tutto il nostro armamentario speciale: chissà che dirà mio fratello al suo ritorno, vedendo la sua collezione di freccette professionali messa a soqquadro.

20080606

#20

I due tizi che si scopava abitualmente erano nell’altra stanza a fare cose che non avrei mai voulto sapere si potessero fare, mentre noi eravamo su un lettino nella camera accanto, e lei mi stava dicendo “non ho alcuna intenzione di diventare tua amica” e mi baciava per la prima volta sulla bocca.

#19

Ora. Dovete pensare al suo corpo come ad un insieme di prismi preso grande a piacere (in verità prossimo all’infinito) le cui facce più esterne siano proiettate verso il vuoto in tutte le direzioni ad una velocità che supera di 1 km/s quella della luce. (Per trascrivere l’equazione che contenga tutti i dati relativi a velocità e direzione occorrerebbe un foglio così grande che, ripiegato più volte su se stesso, avrebbe uno spessore pari alla distanza tra la Terra e la Luna). Tutto ciò, causando la sua entrata nell’iperspazio e la successiva uscita in un numero pressochè infinito di dimensioni, gli permise di guadagnare, in quella che ci interessa, all’incirca un’ora sul momento in cui tutto era avvenuto. Ma c’era anche dell'altro: sulla sua felpa, per esempio, l’orsacchiotto che un tempo diceva ‘hallo’ voltato sottosopra e fissando l’osservatore attraverso le sua buffe zampette posteriori con occhi puntiformi, adesso diceva due volte ‘hallo’ (questa volta, e quella di un’ora prima). E, sempre per un caso straordinario e francamente inspiegabile, adesso si ritrovava con due cuori, dei quali solo uno era scoppiato nel momento in cui l’aveva trovata morta a terra accanto all’auto sul ciglio della strada in mezzo al bosco, il corpo scomposto e martoriato dallo stupro e dalle percosse subite, lì dove l’aveva lasciata mentre era andato a cercare benzina. L’altro, il secondo cuore che questa sconvolgente avventura gli aveva regalato, prese invece a battere all’improvviso e a velocità pazzesca (come ogni altra cosa), e gli fece ricordare quel che era successo, e poiché aveva ancora un’ora di tempo per fermare tutto, lo convinse a voltarsi indietro e a correre più veloce che poteva (con un paio di Kickers nient’affatto adatte a strade di campagna così accidentate) verso il punto del bosco dove l’aveva lasciata.

#18

Tutto era accaduto all’improvviso. Un istante prima non aveva bisogno di nulla, e quello dopo doveva pisciare come se non lo facesse da giorni e si rirovasse la prostata di un settantenne (sentì distintamente l’ondata di urina scendergi dalla vescica attraverso l’uretra fino alla punta del pene), il secondo precedente stava benissimo, e quello successivo aveva fame come se fosse stato tenuto forzatamente lontano dal cibo per una settimana (sentì perfettamente lo sbuffo di gas del kebab appena digerito risalirgli dallo stomaco attraverso l’esofago fino in bocca). E così il mal di denti, che fino ad un attimo prima era stato nient’altro che una paura comune a milioni di persone senza assicurazione medica privata, adesso era lì, improvvisamente e dolorosamente a contorcergli il volto in milioni di smorfie che lottavano l’una contro l’altra, ad insinuarsi in modo pneumatico attraverso la gengiva come un chiodo arrugginito fin nella mandibola, e su fino al cervello, e giù fino ai talloni.

20080604

#17

Ci sono delle volte in cui si sa con certezza che ci si sta per fare del male. Col grosso coltello in una mano e il pomodoro acerbo che aspetta sul tagliere, questa è una di quelle, si ripete.

#16

Lo scopo è di quelli che dovrebbero suscitare comprensione e solidarietà, ma il metodo con cui cercano di raggiungerlo mi costringe alla linea dura del 'niente pietà per i genitori disperati che cercano di far addormentare i bisbetici figli coinvolgendo tutto il vicinato'.
Lei li porta sul balcone e gli canta il leone si è addormentato in versione muta, ed è inquietante l'intonazione perfetta e la ritmica precisa con cui la esegue, in lei non c'è nulla della madre che fa quel che può con i mezzi che ha: anche nel momento più intimo e quotidiano esprime il perfezionismo che si ripercuoterà sull'educazione dei figli.
Lui invece fischietta la-prima-e-solo-la-prima-strofa di summertime, tre note seguite da altre sette note, con l'ostinazione e l'ottusità dello scolaro che prova al flauto il suo pezzo per il saggio di fine anno.
In entrambi i casi il rischio della mia pazzia ribolle nella ripetizione ossessiva (che in alcuni paesi è ancora usata come tortura), nel loop tanto più interminabile quanto più è chiaro che proprio nella paranoica reiterazione risiede il suo stesso fallimento. Lasciare i bambini a se stessi sarebbe un crimine contro l'umanità, ma, diosanto, le vie di mezzo sono infinite.

#15

Suoni che posso sentire steso nell'erba mentre aspetto la pioggia: le sveglie elettroniche dei grilli, le gare motociclistiche delle mosche in lontananza, il richiamo ecclesiastico dei campanacci delle vacche, i passi nella terra di una bandiera presa dal vento.

20080529

#14

Il sapore burroso del suo rossetto sulla bocca dopo l'utimo bacio, e poi nient'altro che l'odore dell'asfalto fresco coperto di pioggia.

#13

Tu non eri ancora nata quando è successo, ma io me lo ricordo come fosse ieri, il Giorno dell'Insediamento. Dopo solo quattro anni il Colonnello N. era di nuovo al comando del nostro distretto e ci aveva riuniti per quello che lui aveva definito 'un discorso di ringraziamento'. Tutti ci aspettavamo una sonora ritorsione verbale verso coloro che avevano prima fatto in modo che fosse allontanato, e successivamente ostacolato i suoi tentativi di riavvicinamento. E invece, con somma sorpresa di quasi tutti i presenti, i suoi toni furono da subito conciliatori, permeati di buonismo e di positività. Invece di comportarsi da quel pessimo politicante che era sempre stato, adesso auspicava la collaborazione tra le parti, il dialogo, la pace.
Mi fu immediatamente chiaro quale fosse il suo vero scopo, una macchinazione degna invece del peggior politico: dopo quel discorso chiunque avesse rinnovato gli antichi rancori e ricordato tutti i provvedimenti illegali che il Colonnello aveva deliberato e tutte le decisioni infauste che aveva preso a suo totale e indubbio favore e contro l'interesse e spesso il volere stesso del distretto, sarebbe stato accusato di voler rovinare il clima di distensione che il Colonnello era appena riuscito così faticosamente a restaurare, e sarebbe stato tacciato di vittimismo e disfattismo. Che senso aveva rivangare gli antici dissapori ora che lo stesso Colonnello, mettendo da parte il suo celebre orgoglio, aveva seppellito l'ascia di guerra? Il passato era passato, adesso bisognava collaborare per un futuro migliore, e chiunque si fosse opposto sarebbe stato guardato alla stregua di un traditore.
Tutti i nostri occhi erano ovviamente puntati sul Colonnello F., che era stato il principale oppositore di N. nella corsa al comando; ma lui niente, zitto e addirittura sorridente, quasi compiaciuto. Non potevamo credere che fosse davvero tanto ingenuo da cadere nella trappola del vecchio antagonista. Anche se ci ripugnava pensarlo, l'unica spiegazione è che fosse connivente.
Mentre la parola 'collaborazionista' cominciava a serpeggiare tra le file, e un sentimento di impotenza e rassegnazione s'insinuava nella truppa, il nostro diretto superiore, il Capitano D., si alzò in piedi e senza nemmeno aspettare che gli fosse concessa la parola si rivolse al suo nuovo comandante.
"Ricorda cosa ci hanno insegnato?" disse con voce chiara e priva di ripensamento. "Non si tratta con i terroristi."
In quindici scoppiammo istintivamente ad applaudirlo, senza preoccuparci delle conseguenze. Sapevamo che almeno lui non ci avrebbe delusi.

#12

Il terrore lo prende di notte mentre la casa è in silenzio. Accanto a lui sul grande letto matrimoniale sente distintamente la presenza fisica di qualcuno, è dietro alle sue spalle. Non sa nemmeno lui con quale forza e quale coraggio ma si scopre a girarsi dall'altra parte. Anche nel buio può vedere perfettamente che non c'è nessuno.
"Chi sei?" si azzarda a chiedere.
"Chi sei tu?" gli viene risposto in tono di rimprovero.

#11

Da mia madre ho ereditato le gambe storte, il setto nasale deviato, la rinite allergica e tutta la mia rettitudine. Mio padre mi ha passato mani grandi, muscoli forti, uno sguardo deciso e la completa incapacità di stare al mondo. Hanno fallito entrambi, in un modo o nell'altro; di mio padre mi mancano il menefreghismo e le capacità manuali, di mia madre il pragmatismo e la fede in qualcos'altro.

#10

Lo spirito aziendale questi due coglioni. E' come essere tornati al liceo, si dice, dannazione! Le ragazze in tiro che se la menano come dive e non lo degnano di uno sguardo e non gliene fanno sentire nemmeno l'odore. I gruppi dei potenti, figli di papà col doppiopetto al posto del bomber imbottito e lo sguardo raggelante del nulla assoluto nella mente. E l'equilibrio degli incontri in ascensore, l'economia delle parole in corridoio, le tattiche della pausa caffè. L'ipocrisia. Le paranoie.
Se ci pensa gli viene il vomito, lo stesso mondo, le stesse dinamiche. Perfino le stesse facce. Solo, dieci anni dopo.
Ma non gliela darà, questa soddisfazione, non soccomberà alle loro aggressioni. Sta per metterlo nel culo a tutti quanti.

#9

Piaceva a tutta la compagnia perchè non assegnava le parti. Lui le deduceva. Guardandoci muovere, ascoltandoci parlare. Poi si bruciò tutta la nostra fiducia quando scoprimmo che deduceva anche i costi comuni come spese professionali.

20080516

#8

L'intersecarsi di oggetti alti e stretti con lo stipite della porta del bagno sul limitare del suo campo visivo ad ogni suo spostamento mentre si lavava i denti facendo su e giù da e verso il lavandino (oggetti come una scopa rimasta in sala dall'ultimo tentativo - diverse settimane prima - di porre fine al dominio altrimenti incontrastato della polvere in casa sua, o l'attaccapanni di design spoglio come un albero in inverno a causa dell'ormai così lunga da sembrare congenita assenza di ospiti) gli dava l'agghiacciante sensazione che ci fosse qualcuno in casa, fuori dal bagno, una presenza fisica eppure evanescente, di sicuro ultraterrena e malintenzionata.
Finì di lavarsi i denti in fretta e furia e si precipitò al telefono per comporre uno dei tre numeri che conosceva ormai a memoria.
Da quando sua moglie lo aveva lasciato (all'improvviso, a suo dire, più di due anni prima, per un magnate della carne in scatola che avrebbe potuto essere il nonno di suo nonno) passava al telefono una quantità di tempo letteralmente spaventosa. Anche quando non era in casa e non era in ufficio, andava in giro col cellulare in una mano - leggermente e mollemente protesa in avanti - e l'auricolare infilato in un orecchio, parlando a bassa voce e fissando qualcosa che poteva essere un aereo che non c'era, il che dava a tutti e a buon diritto la non così errata impressione che fosse in contatto costante col suo analista.

20080515

#7

Odio i sandali alla schiava e odio il colore dell'oro. Odio definitivamente i tuoi sandali d'oro.

20080513

#6

"Non è una cazzo di carie," dice allora lei. "Non puoi pensarci tra un mese."
La madre le dà le spalle, sta lavando i piatti.
"Possiamo aspettare fino a giugno."
"Possiamo aspettare un cazzo!"
"Ma all'ospeda—"
"Non me ne fotte un cazzo di quello che ti hanno detto all'ospedale. Non possono prima di giugno? Bene, andiamo da un'altra parte, paghiamo il triplo, e ci facciamo dire cosa cazzo è stavolta."
La madre è ancora girata di spalle, i piatti sono puliti da un bel pezzo.
"Vedrai che non è niente."
"Io non ci passo un'altra volta, cazzo."
"Vedrai che non è niente."
"Non ci passo un'altra volta, mamma. Non è una cazzo di carie."

20080510

#5

I miei begl'occhi sono l'unica cosa che Dio m'ha dato. Il resto c'è tutto, solo che le tette sono troppo piccole, e i fianchi troppo larghi. Ho quello che sulle riviste per adolescenti viene definito 'un corpo a pera'.
Però gli occhi ce li ho belli davvero, azzurro profondo, bordati di grigio. Per cui me li trucco con esattezza, praticamente è l'unico vezzo che mi concedo. Che ci posso fare se a volte bastano un paio di begl'occhi per far girare la testa a un uomo?
Come al solito gli faccio un pompino in un parcheggio un po'isolato della città verso cui abbiamo deviato con finta inconsapevolezza il nostro giro in auto.

#4

Dai balconi dei palazzi affacciati sul cortile comune le cameriere indiane si parlano urlando nel loro penetrante melodico idioma di scale assolutamente non pentatoniche, certe di non esser comprese da altra anima viva che non sia indiana.

#3

Il mio insegnante di scuola guida ha ancora sulla fronte il taglio che s'è fatto sbattendo la testa sul parabrezza quando durante l'ultima lezione e mentre m'infilava come al solito le dita negli strappi del jeans io ho accelerato e poi ho improvvisamente frenato e ho fermato l'auto in mezzo alla strada per dirgli con innocenza "si allacci la cintura, per favore."

#2

Sua sorella è una ragazza strana che dice di aver paura degli insetti e degli animali morti molto più che se fossero vivi. Mi dico che se si fosse trattato di esseri umani avrei trovato la cosa del tutto normale, per cui lascio perdere e me ne dimentico.

20080509

#1

Il nostro amore è così fragile che si taglia con un grissino.