20180130

#1851

Le ragazze scesero dall'auto e scapparono verso l'ascensore, così mi ritrovai da solo a cercare una via di fuga da quel garage.
La porta delle scale era aperta, dall'alto la luce della libertà si faceva faticosamente strada nella caligine.
"Charlie Manson non scappa," mi dissi mentre imbracciavo il fucile.

#1850

È vero, un tempo pensava che non era possibile essere una rock star e contemporaneamente doversi cucinare broccoli la sera. Ma ora era convinto di poter quantomeno essere uno stimato e soddisfatto professionista anche se allo stesso tempo costretto a stirarsi le camicie.

20180126

#1849

Parte I

Quando sentimmo la profonda esplosione a largo dell'isola, in mezzo all'oceano, alcuni corsero sugli scogli della costa per capire cosa fosse successo.
Non ci volle molto per rendersi conto che non avrebbero mai fatto in tempo a tornare indietro: l'onda era enorme oltre ogni dire, a parte il cielo e il mare stesso più grande di qualsiasi cosa avessero mai usato come metro di paragone durante la vita che su quegli scogli stava per interrompersi.
Così preferirono restare lì in piedi ad aspettare che lo spaventoso muro d'acqua li investisse, spazzando via tutto, la vita, la costa e gran parte dell'isola che avevano considerato casa.


Parte II

Tra i pochissimi che sopravvissero, negli anni successivi alla catastrofe io e Kari esplorammo regolarmente i resti di fabbriche, uffici e case in cerca di qualcosa di utile alla nostra sussistenza: pinze, un cutter, fil di ferro, cose del genere.
Ma quel giorno non eravamo soli. Facemmo appena in tempo a nasconderci sotto un palco che doveva essere servito per fare annunci e dare premi durante manifestazioni aziendali, quando un gruppo di uomini e donne in divisa entrarono nella grande sala.
Le giubbe erano nere con decorazioni dorate, e sembravano tutti molto organizzati e determinati, tanto che il mio primo pensiero non fu che fossero anche loro dei sopravvissuti ma che avessero piuttosto a che fare direttamente con l'esplosione che aveva dato avvio alla nostra possibile estinzione.

20180124

#1848

Su venticinque passeggeri in quella carrozza della metro, quindici erano attaccati ai loro smartphone. Per tutta Umeyaki Masakuro risposta tirò fuori il suo taccuino e cominciò a scrivere: "Su venticinque passeggeri in quella carrozza della metro"...

20180121

#1847

A meno che la loro arte non abbia una diretta e imprescindibile relazione con la loro vita privata, dell'uomo e della donna dietro l'artista non me ne importa sostanzialmente nulla.

#1846 (iQ #45)

E nel freddo
all'esterno della porta
passi sulla neve

20180118

#1845

Il respiro, il battito del cuore, quello delle ciglia, il bisogno di dormire.
Queste, sopra tutti gli atri inspiegabili automatismi che il corpo adotta per vivere, erano le cose che più lo stupivano.

20180113

#1844 (Elegia giapponese #11, iQ #44)

Preda del fuso orario
pericolosamente presto
a letto

#1843 (Elegia giapponese #10)

Al di fuori del finestrino, libero dalla pressione che ci costringeva nell'aeromobile e ci permetteva di sopravvivere, il sole stava intanto sorgendo sopra un orizzonte che non potevamo vedere, al di sotto dello strato di nuvole al di sopra del quale stavamo viaggiando ormai da quasi diecimila chilometri lungo un asse curvo che collegava l'Asia all'Europa.
La sua luce rossa e gialla cercava di emergere attraverso la pesante coltre grigio-azzurro, come il ribollire di un fuoco immenso esploso nel centro di una terra irraggiungibile e ormai per sempre perduta, la versione visiva ma non veduta del Rosso che aveva ossessionato Jack London alla fine dei suoi racconti.
Lo sguardo di Nakagawa San si era ormai perso nella terribile densità di quella radianza.

#1842 (Elegia giapponese #9)

Quando si parla di Tokyo usare la metafora dell'alveare o del formicaio non renderebbe onore e giustizia alla sua complessità.
Sarebbe più corretto parlare infatti di una serie di alveari o formicai interconnessi, dove la perfetta organizzazione di ognuna delle varie realtà sincretiche non contrasta e anzi dialoga in un adattamento continuo con quella di tutte le altre.
Ma anche questo paragone è improprio, perché alla struttura funzionale di queste macchine comunicanti si aggiunge e integra quella meno controllabile e fondamentalmente caotica non solo e non tanto del cittadino, che—regolato da leggi etiche e comportamentali di base precise e condivise anche se non scritte—è tutto sommato a sua volta uno di questi sistemi pressoché perfetti, quanto del turista che, a dispetto di quello che dovrebbe essere il suo ruolo—ospite interessato a conoscere una nuova cultura—quasi sempre con molta difficoltà si adegua a sistemi di segni e regole diversi da quelli a cui è avvezzo, generando un'entropia che solo un organismo socio-urbanistico abituato a gestire in ogni istante una quantità enorme di variabili, quale è appunto Tokyo, sarebbe capace di tenera a bada in modo da evitare il collasso.
Tokyo sembra anzi sopravvivere proprio grazie a questo equilibrio instabile e perciò flessibile, a questa fluidità che pare essere parte costituente della sua cultura e senza la quale tutto si fermerebbe, crollando sotto al peso della sua stessa complessità.
Forse è tutto sommato più sensato non usare alcuna metafora, e limitarsi piuttosto a constatare che la città è fatta di esseri umani che si comportano non come tutti gli esseri umani ma come una determinata specie, adusa ai forti contrasti tanto da riuscire sempre ad evitare che diventino irrisolvibili contraddizioni.

#1841 (Elegia giapponese #8)

A Tokyo la definizione di città sta stretta.
È una megalopoli risultante dall'unione di più città, a loro volta fatte di quartieri, a loro volta composte di zone, a loro volta formate da complessi di edifici enormi, in molti casi ad esclusivo uso commerciale, in cui molto spesso ognuno dei numerosi e vasti piani è occupato da una singola attività, o da uno specifico reparto, pieno all'inverosimile della moltitudine di oggetti e servizi che costituiscono il loro core business, e nei cui magazzini e tra i cui corridoi e dietro le cui casse pullulano uomini e donne in divisa, iperattivi, precisi, organizzati, esperti, ligi, corretti, gentili, sorridenti, disponibili, ossequiosi, singole entità che costituiscono gli addetti di un reparto, uniti nello spirito della vendita alle singole entità degli altri reparti, a formare gruppi di lavoro dedicati a un determinato settore, che messi assieme formano il corpo dipendente al lavoro per la società che ha in affitto o possiede quel piano di quell'edificio, che è solo uno dei department stores in cui sono impiegati tutti gli altri corpi dipendenti, uniti nello spirito della vendita ai corpi dipendenti di tutti gli altri department stores in tutti gli altri edifici di tutte le altre zone di tutti gli altri quartieri di tutte le altre città dalla cui unione risulta la megalopoli che è Tokyo.

#1840 (Elegia giapponese #7)

Se si escludono templi, santuari e pagode, luoghi non confinati alla propria geografia, che pure è vasta tanto da risultare e sproporzionata, Kyoto è essenzialmente una città inospitale.

#1839 (Elegia giapponese #6)

Ma se il Buddha è l'apice di un pensiero basato sull'assenza di passione e sul distacco dalle cose terrene, sulla serenità che deriva dall'abbandono di ogni pulsione umana, ed è per questo che la persona Buddha è diventato la divinità Buddha, allora perché l'uomo si ostina a pregarlo? A cosa servono le sue parole, i suoi inchini, le sue offerte? Non comprende che il principio della santità del Buddha sta nell'oblio di ogni rapporto con l'uomo? Che la sua raggiunta serenità né fa l'essere meno logicamente adatto ad essere pregato ed invocato? Che è sordo alle richieste dell'uomo? Che dell'uomo non gli importa più nulla? E che forse tutto sommato all'uomo non dovrebbe importare nulla di lui?

#1838 (Elegia giapponese #5)

Il buddismo è intelligente in modo perfino più sottile del cristianesimo, sicuramente più raffinato: essendo basato letteralmente sul nulla, il nulla più totale e assoluto essendo l'unico vero e dichiarato obbiettivo del culto, tutto può essere oggetto di devozione. Cercare di vedere la quindicesima pietra tra le quattordici visibili in un perfetto paesaggio asciutto ne è un esempio ideale: anche una pietra, l'idea più solida del nulla e contemporaneamente il suo più concreto opposto, diventa, attraverso il nulla stesso che rappresenta e incarna, mezzo d'elezione per arrivare al definitivo ed eterno nulla.

#1837 (Elegia giapponese #4)

Kyoto è una di quelle città che, come altre nel mondo, ha deciso di sostituire all'esperienza il suo surrogato: gli oggetti in vendita non hanno più l'effetto di ricordare l'esperienza della città in sé ma solo quella dell'acquisto degli oggetti stessi. È l'acquisto dell'esperienza.

#1836 (Elegia giapponese #3)

In fatto di religione i giapponesi hanno anticipato di parecchi secoli qualsivoglia teoria quantistica: qui si può essere contemporaneamente buddisti e scintoisti, scegliendo di volta in volta la natura del rito a seconda della necessità.
La cremazione, inoltre, risolve più in generale anche il diffuso problema degli zombie.

#1835 (Elegia giapponese #2)

La cosa che più colpisce nell'immediato è la quantità di bagni pubblici, in ogni dove, puliti, gratuiti. Sono secondi solo alla presenza degli innumerevoli addetti ai lavori: parcheggiatori, vigili, poliziotti, guardie, hostess, commessi, bigliettai, controllori, di ogni età, ognuno con la sua divisa, il suo cappello e il suo badge, indicibilmente impegnati e ligi al loro dovere, come se ci fosse davvero un'occupazione per tutti o ognuno avesse il suo compito ben preciso, la mancanza di svolgimento del quale manderebbe tutto a rotoli. Questa massa di impiegati è a sua volta seconda solo all'impressionante messe di fedeli che, nel ruolo di dispensatori, riceventi o mediatori, si dedicano ai culti e che, in bilico tra devozione e commercio, ricevono, comprano o smerciano al dettaglio ogni genere di oggetto sacro. Oggetti che a loro volta superano per quantità e varietà qualsiasi altra cosa vista in giro.

20180112

#1834 (Elegia giapponese #1)

A dispetto di quel che si può sentire in giro da esterofili a tutti i costi, il bidet nella tazza del water non è l'idea più comoda del mondo (specie se si è svegli da 26 ore e non si riesce ancora a mettere a fuoco non solo i minuti caratteri esplicativi sulla plancia di comando, ma anche tutto un sistema culturale fatto di valori e riferimenti sconosciuti), ma se non c'è lo spazio per un vero bidet (e, forse è scontato notarlo, ma in una città di quasi nove milioni e mezzo di abitanti—milioni che diventano quasi trentasei se contiamo tutta l'aria metropolitana—lo spazio è letteralmente ridotto al minimo) questa soluzione diventa un insostituibile segno di civiltà.

20180110

#1833 (Elegia giapponese #0)

Oh, Fatina, Fatina dell'Economy class, anche solo un'ora di sonno sarebbe benvenuta, dopo il single–serving meal di Natale e lo spumante a buon mercato, dopo il film sull'origine del mondo e L'arte della fuga di Bach, dopo aver attraversato l'intera Russia e sorvolato il mar del Giappone, un'ora di sonno, solo un'ora da te vorrei. E domattina, quel che vedrai sulla tua fronte dopo averla detersa col tuo panno caldo e leggermente profumato non sarà un brufolo, ma un'increspatura della tua bellezza.

20180109

#1832

La mia vita è una continua, imperterrita battaglia ingaggiata con la vista: subirla, amarla, crederle, fingerle di crederle, credere di averne bisogno, convincersi di non averne bisogno, odiarla, ripudiarla, recuperarla, crederle nuovamente e nuovamente odiarla, temerla, abbandonarla, preferirle qualsiasi altro senso, non poterne fare a meno, lasciarsi vincere, resisterle, soccomberle.
Eccomi di nuovo alle prese con la mia vista e le sue pretese, i suoi bisogni, la dedizione necessaria a preservarla, a fingere nuovamente di crederle, di potermi fidare, di volerla sfidare, finché non sarà lei a reclamare la mia attenzione, a vincere di nuovo, a vincermi per l'ennesima volta, a dimostrarsi onnipotente.

20180108

#1831

Non importa quanto tempo sia passato da quando è accaduto, né che non sia successo mai più, da allora e per sempre lui è l'uomo che svenne in mensa, la sua condizione è ormai per tutti immutabile, congenita, agli occhi di tutti una sua caratteristica peculiare, esclusiva, nei ricordi di ognuno lui è nient'altro che l'uomo che quella volta svenne.

20180107

#1830

È il gioco di un gioco di un gioco di un gioco di un gioco di un gioco di un gioco di un gioco...

20180106

#1829

Quel che mio padre sembrava non voler capire era che, incolonnati come eravamo in quel serpente di auto in festa, più ci inoltravano nelle stradine del paese e più difficile sarebbe stato riuscire a tornare indietro.