20081014

#45

"La realtà?"
Mio padre mi fissa, i suoi occhiali di vinile e la sua barba grigia, seduto sulla stessa poltrona su cui l'ho sempre visto seduto negli ultimi due anni. La vecchiaia è arrivata anche per lui, come per nessun padre un figlio si aspetta mai che arrivi; però il suo sguardo è sempre lì, sprezzante e derisorio come se fossi ancora il bambino un po' autistico che fatica a rapportarsi col mondo.
Fuori c'è il sole e oggi, mercoledì, indosso la cravatta di lino bianca con su stampate le parole d'addio del mio scrittore preferito, (che si è suicidato impiccandosi con la sua cravatta di lino bianca. Un indumento di dubbio gusto, insomma).
Mio padre sembra avercela con me perfino per questo.
"Chi è dei due?"
"Chi?"
"Quello che s'è ammazzato. Non mi ricordo mai chi è dei due, Pierre o Gilles?"
"Pierre. Gilles è quello che scrive sempre di gente che si suicida."
"E tu credi davvero alle parole di uno che ha messo fine alla sua vita?"
"Cosa c'entra questo con la realtà?"
(I suoi occhiali di vinile, la sua barba grigia e la sua pipa d'osso, mi sono dimenticato di menzionare la sua pipa d'osso, l'odore dolce e nauseante del fumo che l'ha sempre circondato, ovunque andasse, e che in questo momento mi fa venire in mente le 'ultime parole fumose', un gioco di parole particolarmente adatto all'occasione).
"La realtà non esiste, se non come serie di azioni votate alla sua negazione. E' reale il fatto che qualcuno abbia scritto, ma non si può dire lo stesso di ciò che è stato scritto."
"Ma non è il suicidio quell'azione che mette fine a tutte le altre?" Cravatta bianca contro occhiali, barba, pipa, e quello sguardo. "Non è il suicidio, dunque, l'azione delle azioni? Non è per questo più reale di tutte le altre?"
Si sposta leggermente sulla poltrona, combattendo alla ricerca di qualcosa a cui non crede ma che basti a contraddirmi a proposito del suicidio, ed io sono improvvisamente certo che negli ultimi due anni non abbia pensato ad altro.

20081009

#44

Tornato a casa dei suoi ancora una volta, come ogni volta cerca di farsi tornare in mente i passi del loro ballo casalingo, gli ingredienti della ricetta tradizionale che con fatica e affetto fa ancora funzionare la gestione di quella microcomunità che può sempre e comunque chiamare la sua famiglia: i piccoli spostamenti di oggetti che rendono la sua stanza sempre meno simile alla sua stanza e sempre più simile alla stanza di qualcun altro; le pantofole del padre (decorate con scene di polo), da indossare sotto al pigiama di flanella (a motivi chachemere) che la madre gli fa trovare sotto al cuscino; il ritrovamento di api e vespe stordite e smarrite nella verandina sul balcone; l'incredibile rigogliosità di una pianta semigrassa che lui invece, a casa sua, a stento riesce a tenere in vita; il rasoio del padre, col quale taglia via la barba dal collo e dagli zigomi mentre le donne, da qualche altra parte, eliminano a loro volta i propri peli; i bisogni grandi nel bagno grande, i bisogni piccoli nel bagno piccolo; la sigaretta della madre, sempre accesa perfino mentre sbuccia la frutta per tutti o lava i piatti da sola; le prime inconfutabili e per niente ironiche constatazioni di alzheimer dei suoi genitori; gli improvvisi, silenziosi ammutinamenti di sua sorella; tre televisori accesi in tre diverse stanze; la manutenzione delle vecchie serrande di legno; Mina e i Dire Straits da ascoltare esclusivamente in auto; la paura, alla fine della strada, per un posto di blocco che faccia arrivare tutti tardi a quest'ennesimo matrimonio.