20140613

#343

All'occorrenza il letto a baldacchino diventava di volta in volta tenda ottomana, ospedale da campo, cassero di poppa, accampamento medioevale, yurta nomade, tendone da circo, baracca ghiacciata, segreta sotterranea, torre d'avorio, castello in aria, costruzione della fantasia pronta a difendere, a salvare, a restare, a resistere, a salpare.

20140612

#342 (Le mosche #48)


SUPPERGIÙ GIUSTA

Pall Mall
i miei occhiali dissestati
oh, Pall Mall, i miei occhiali dissennati
cosa racconterebbero, se potessero, i miei occhiali dissociati.

#341

Vivevamo costantemente connessi col resto del mondo, ma scollegati tra noi.

20140611

#340 (Le mosche #47)


WE DO EVIL BECAUSE WE ARE THE EVIL

perché so bene che divento vecchio
la pancia mi si gonfia
e perdo i capelli
ma mi lascio andare lo stesso
cerco appigli, appoggi, approdi
una donna che mi contenga
e che mi renda felice.
È questo il vostro beato lasciarsi
trascinare dal fiume?

#339 (Le mosche #46)


WE ARE NOT EIL FOR THE EVIL WE DO

Cercavo appigli
posti per appoggiare le cose che depongo
fogli su cui apporre ricordi
orecchie che sentissero i ronzii della mia bocca
e che un giorno parlassero di me
una gonna che mi contenga
e che mi renda felice

20140610

#338

The future is a burning tan.

20140609

#337 (Le mosche #45)


IL SACRIFICIO DELLE OMBRE

Si scontrò col semaforo dipinto di
fresco
e la cosa la urtò.
Non fu tanto per il giallo
sulle mani, la maglia e il pantalone,
ma perché avrebbe voluto avere una scelta,
un cartello che l'avvertisse:
"wet paint".

#336

Ci sono tre modi di fare le cose: sapendo di saperle fare, sperando di saperle fare, sapendo di non saperle fare. In tutti e tre i casi la vera discriminante è volerle o non volerle fare, e l'incognita è capirlo.

20140605

#335 (Le mosche #44)


BLANC ET NOIR

Non credo ci sia giustiza
né pace
per gli innocenti diavoli come noi.
Del resto, che sono traditore
ormai lo capisco anch'io.

#334

Una delle cose in cui sembravano credere più fermamente è che lo spirito di quel che mangiamo resti improgionato nel corpo, almeno fino al momento di riespellerlo in forma di escrementi. Una difficile digestione era segno che lo spirito rifiutava l'idea di abbandonare l'ospite, e così il mondo, e quanto più l'alimento ingerito era indigeribile, tanto più voleva dire che lo spirito in esso fino ad allora contenuto era forte. E gli incubi che ne derivavano erano ovviamente messaggi diretti di quello spirito. In questo senso l'indigestione dava vita a una forma di divinazione, e come altre popolazioni assumevano allucinogeni e stupefacenti per giungere allo stato di trance e interagire con gli spiriti, così gli scamani di queste tribù mangiavano quanto più potevano per entrarvi in contatto quando questi erano ancora bloccati tra questo mondo e quell'altro, ed erano quindi più disposti a parlare. Facevano addirittura a gara a chi mangiava di più, perché più forte era l'uomo che riusciva a contenere lo spirito più forte. Rutti e flatulenze, va da sé, erano visti come forme di incontinenza, e quindi testimoniavano una certa inesperienza o incapacità dello sciamano. D'altro canto quelli più esperti erano capaci di trattenere lo spirito per giorni e giorni, e di liberarsi non prima di qualche settimana, se non di qualche mese. Durante il periodo di possessione tutti, anche gli uomini più comuni, assumevano atteggiamenti peculiari degli animali (ma anche dei vegetali) ingeriti, e fu su questa specifica caratteristica della credenza, così facilmente assoggettabile a una possibile capacità attoriale, che decidemmo di concentrare i nostri studi sul campo.

20140601

#333 (Le mosche #43)


THE THINGS I NEVER TOLD YOU

Odiava la sua cenere nel bidè,
l'aveva sempre odiata e la odia ancora,
come il passare di una domenica,
come il ronzio delle zanzare,
come i ritardi degli altri.