20081009

#44

Tornato a casa dei suoi ancora una volta, come ogni volta cerca di farsi tornare in mente i passi del loro ballo casalingo, gli ingredienti della ricetta tradizionale che con fatica e affetto fa ancora funzionare la gestione di quella microcomunità che può sempre e comunque chiamare la sua famiglia: i piccoli spostamenti di oggetti che rendono la sua stanza sempre meno simile alla sua stanza e sempre più simile alla stanza di qualcun altro; le pantofole del padre (decorate con scene di polo), da indossare sotto al pigiama di flanella (a motivi chachemere) che la madre gli fa trovare sotto al cuscino; il ritrovamento di api e vespe stordite e smarrite nella verandina sul balcone; l'incredibile rigogliosità di una pianta semigrassa che lui invece, a casa sua, a stento riesce a tenere in vita; il rasoio del padre, col quale taglia via la barba dal collo e dagli zigomi mentre le donne, da qualche altra parte, eliminano a loro volta i propri peli; i bisogni grandi nel bagno grande, i bisogni piccoli nel bagno piccolo; la sigaretta della madre, sempre accesa perfino mentre sbuccia la frutta per tutti o lava i piatti da sola; le prime inconfutabili e per niente ironiche constatazioni di alzheimer dei suoi genitori; gli improvvisi, silenziosi ammutinamenti di sua sorella; tre televisori accesi in tre diverse stanze; la manutenzione delle vecchie serrande di legno; Mina e i Dire Straits da ascoltare esclusivamente in auto; la paura, alla fine della strada, per un posto di blocco che faccia arrivare tutti tardi a quest'ennesimo matrimonio.

2 comments:

peppino.leonida said...

molto bello.
ho provato a leggerlo in due chiavi: la prima pensando alla casa dei tuoi (e immaginando tuo padre in quel pigiama di flanella), la seconda non pensandoci. Se la prima chiave mi ha regalato un tenero ricordo dell'atmosfera familiare di casa dei tuoi, la seconda mi ha rivelato un gran bel pezzo di letteratura. Mi chiedo se saro' mai in grado di leggere incondizionatamente un tuo racconto (intendo, leggerlo come se fosse stato scritto da un altro).
Bravo
Luca

cornelius said...

luca, come tu ben sai, io è un altro.
e al di là della solita citazione (mi cito addosso, come dice woody allen), intendo dire che sempre, in tutti i miei racconti, io scrivo con gli occhi di un altro, anche o forse soprattutto quando parlo di cose che mi riguardano. questo probabilmente perchè ho sempre avuto la capacità (o almeno me la sono sempre riconosciuta) di vedere quello che mi/ci succede in una dimesione per così dire 'storica', come cioè una serie di eventi 'altri' da me/noi, anche se successi effettivamente a me/noi. ritengo che questa sia una necessità della letteratura (nonchè della vita, che così sembra almeno sempre più e/o però sempre meno bella di quel che effettivamente è) per far sì che il racconto della nostra vita non sia mai una forma di introspezione personale o di auto-terapia, quanto invece una lente attraverso cui (di)mostrare cose valide anche al di fuori della nostra vita stessa.