20130628

#166 (Poesia d'Irlanda)

Il posto ci dà il suo abbraccio umido e freddo,
imploriamo per l'acqua calda me ne otteniamo solo
di fredda ogni volta che mettiamo piede fuori casa.
Del resto casa è ovunque parcheggi. Tengo il cappello
in testa, quando lo tolgo mi lascia capelli da nonno.
Ora comprendiamo lo spirito del luogo, che vive nei
locali pubblici, seduto a un tavolo davanti a una birra.
Forse il vento accarezza l'erba, ma sicuramente scuote l'orzo.

Alle scogliere più alte dell'isola siamo ognuno
nell'inquadratura di qualcun altro. La vera foto
è quello che succede alle nostre spalle, nel nostro passato,
le lunghe ore in pulmann, le chiese coi coperchi di vetro,
le tombe aperte. Alla fine cedo e scatto anch'io la mia foto,
quella che è stata scattata migliaia di volte prime della mia.
Qui non è mai arrivato il secolo dei lumi
e la sera bisogna leggere con la luce spenta.

Andando verso nord-ovest le vacche lasciano il posto
a pecore colorate di blu, e a sparsi cavalli abbandonati
e inselvatichiti. Il posto fa di tutto per destabilizzarci,
per respingerci, per demoralizzarci. Ma se il posto
non diventa a nostra misura noi diventiamo il posto,
diventiamo la pioggia, i gabbiani, erba bagnata
e pietre millenarie (dove del resto i preistorici venivano
a fare i loro bisogni, con buona pace degli archeologi).

Arriviamo nella capitale il 16 Giugno, festa del padre
putativo. Vediamo facce poco raccomandabili, figure
vagamente patibolari, tatuaggi di rosari, gambe che
non stanno in piedi. Vado in pellegrinaggio alla casa
dell'inizio del viaggio, odissea urbana in un'epoca a cui
vorrei essere appartenuto, cappello, completo di tweed,
bastone e compagnia cantando, e compro un'immaginetta
sacra del santo a cui mi sono ahime consacrato.

E quando tentiamo di andare via il posto non libera la sua
stretta, attorno al cuore o attorno al corpo, e ci imprigiona
nel luogo delle partenze e degli adii, restio a permettere
la nostra, o a concederci il suo. Il nostro abbraccio è guardato
con sospetto, al nostro bacio ruggisce un allarme, replica
un'evacuazione, le facce tese, i gesti nervosi, gli sguardi ottusi.
L'evacuazione rientra, l'allarme tace, il sospetto resta. Un posto
in cui sarà difficile tornare, da cui è ancora più difficile scappare.

20130604

#165 (a W.S.)

L'ombrellino pieghevole già
sghembo
cinese quando va bene
venduto dai pakistani col sorriso
spento
che intonano il mantra del
prego-prego-prego-prego
come una preghiera
è il simbolo dell'effimero e
mentre loro pregano
per restare attaccati a
questo mondo
caparbiamente e ottusi
rappresenta per antonomasia
l'obsolescenza programmata.

L'ombrello classico è grande
del resto
decaduto emblema di stile
non s'intona mai col colore
degli occhi né
con quello del cielo
e per antonomasia
più costa più è facile lasciarlo
in giro.

L'impermeabile tecnico
di cordura caldo d'estate
in Goretex freddo d'inverno è
comuque sempre troppo caldo
in metropolitana e troppo freddo
in montagna e
cosa peggiore
lascia scoperte le scarpe.

L'impermeabile tascabile
il cui nome è in realtà una marca
causa l'effetto serra
sul pianeta corpo, sempre
ammesso che abbiate voglia di
metterlo e toglierlo
toglierlo e metterlo
alla bisogna.

Non resta che percorrere
una linea obbligata
seguire i cornicioni, sotto
i balconi, evitando le pozzanghere
infilare i porticati e
preservando l'asciutto
perseverare nella paura della realtà.