20190728

#1961

È la storia di un uomo con un passato di aracnofobia — solo ora parzialmente superata — che trova un ragno sulla finestra del bagno.
All'iniziale repulsione istintiva segue una fasi di indifferenza, la coscienza razionale che non esista pericolo, nella speranza che l'animale se ne vada, che torni da dove era venuto.
Ma quello non demorde, né cambia pressoché posizione.
Accertatosi che non sia morto, l'uomo inizia a incuriosirsi: cosa fa lì fermo quell'essere misterioso, minaccioso, a suo modo affascinante? Non si sposta, non tesse la sua tela, non reagisce più di tanto: come fa a nutrirsi? Di cosa vive? È un cacciatore, non semplicemente solitario come tutti i ragni ma anche nomade? È perso? Stordito? È il freddo? È in fin di vita?
Agente nemico in rappresentanza di una natura fredda e inconoscibile, resta fermo in un angolo del telaio, mostrando la sua sagoma nota e inquietante sul bianco del vetro che si frappone tra l'intimità violata della casa e le giornate di grigiore urbano.
L'uomo è combattuto: non vuole ucciderlo, sa che non ce n'è ragione, ma prova troppo ribrezzo per tentare di spostarlo. Così comincia a fare la doccia come se niente fosse, fingendo che il ragno non sia lì, fingendo perfino di non averne paura, temendone in realtà l'improvviso attacco ma in fondo supponendone la paura, lo smarrimento, la totale assenza di malevolenza.
È forse malinconico? È stato ostracizzato dai suoi simili? Lasciato dalla compagna? Sta riflettendo a suo modo sul senso della vita? È venuto a morire in solitudine? O è piuttosto un esploratore, un rivoluzionario in cerca dei limiti del proprio mondo, desideroso di metter fine all'ignoranza della sua specie scoprendo un regno di conoscenza fino ad ora precluso? Quanto lungo sarà ancora questo suo viaggio verso l'ignoto?

#1960

Come in mezzo a questa folla di gente in strada, questo è lo scopo della mia vita: arrivare dove sono diretto (o destinato: ignoro il mio futuro in entrambi i casi) fluidamente, senza mai variare la mia velocità e possibilmente senza mai fermarmi, ma sempre evitando di ostacolare o urtare qualcun altro sulla mia strada.

#1959

Guardando dal finestrino col sole alle spalle, Victor Muir si rese conto di non vedere la propria sagoma proiettata sul suolo col resto del treno, ma di far parte dell'ombra stessa del treno, di un'ombra totale che includeva tutto quel che del treno veniva proiettato sul suolo. È quando siamo nell'ombra che ci rendiamo conto di far parte del paesaggio, di essere non necessariamente il soggetto osservante ma piuttosto parte del visibile come ogni oggetto attorno a noi.