20120526

#147

L'auto era una cadillac bianca che ci eravamo procurati pochi giorni prima, di quelle coi sedili di pelle neri messi per lungo e il vetro divisorio tra l'autista e i passeggeri, e le tre signore pesantemente ingioiellate e impellicciate sembravano molto contente del trattamento.
Vladich se ne stava in silenzio a fissare il panorama innevato che scorreva fuori dai finestrini rigati di pioggia, mentre io facevo da cicerone:
"Lassù è la zona dei russi, poi più giù viene quella dei polacchi, e qui siamo in quella degli jugoslavi."
"Ma siamo passati anche per quella dei finlandesi," precisò con una certa premura una delle tre signore. Era quella da cui ero stato colpito fin dal primo momento. Non era attrazione fisica, la mia, ma più come se ci fossimo già incontrati, e in quel momento non potevo nemmeno sospettare che fosse in realtà mia madre.
Quando l'autista (un albanese che avrà avuto a stento sedici anni) cambiò improvvisamente strada, fummo tutti sballottati di qui e di là, e mi ritrovai ingarbiugliato tra pellicce, sottane e grosse porzioni di carne calda e morbida. La cosa aveva preso un po' alla sprovvista anche Vladich e me, pure se conoscevamo bene i pericoli del viaggio e sapevamo che la possiblità di dover deviare senza preavviso per vie più sicure era sempre sietro l'angolo.
Attraversammo di tutta fretta le dischariche, città di rottami d'auto e frigoriferi e resti della civiltà appena passata, abitate dagli ultimi della terra, gente senza patria né religione. Ci fermammo solo per far pisciare le signore; e mentre Vladich teneva aperto lo sportello con un piede, io aiutavo mia madre, accovacciata su un canaletto di scolo accanto alla strada, a non sporcarsi la sua bella gonna di velluto.

No comments: