20110305

#106

Ogni volta che riavvolgeva il cavo nero attorno al manico bianco del fohn gli tornavano in mente gli anni a Gush Katif, quando tutti i giorni, tra un pattugliamento e un raid, si stringeva sette volte la shel yad al braccio destro durante la preghiera del mattino. Tra il fatto che era mancino e quello di avvolgere la tefilláh dal bicipite verso l'avambraccio pur non essendo chassidim, si era procurato chissà perché non poche antipatie.
Oggi, quando gli chiedevano cosa ancora avesse in comune con i suoi commilitoni, rispondeva con le parole di un altro ebreo inquieto: "Non ho niente in comune nemmeno con me stesso."

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