20170206

#1565 (Le ultime mosche #106)


LA TEMPESTA SUL CUSCINO

Me ne andavo, gente, capite? Finalmente me ne andavo. Ero malconcio ma mi tenevo in piedi e me ne stavo andando. Tutti gli altri, donne, uomini, vecchi, bambini, si affacciavano dalle loro cuccette tendendomi la mano e fissandomi con gli occhi di sangue, cercando di toccarmi perché, capite, io ce l'avevo fatta, finalmente me ne andavo, mentre loro dovevano ancora aspettare su quella nave. Mi toccavano perché io rappresentavo la certezza che da lì si poteva andar via. Erano tristissimi ma contenti, e piangevano di gioia per me e per quel che significavo. Una ragazza magrissima e piena di lividi, col volto pallido e le occhiaie, camicia militare e mutandine sporche, volle baciarmi sulla bocca, come se avessi potuto benedirla.
Quarant'anni dopo una maestra chiede a una scolara di parlarle di quella famosa tragedia e descriverle la nave, e lei vorrebbe dirle delle centinaia di anime a bordo ma la maestra non è d'accordo, vuole solo sapere le misure, la stazza, la portata, la capacità di fuoco e cosa ha rappresentato quella nave per la nostra patria durante il conflitto. Solo la bambina ha capito, e solo la direttrice di quella scuola sa cosa quella nave abbia davvero rappresentato. L'alunna ottiene un tre, malgrado gli sforzi di spiegarsi, ma anche un encomio dalla direttrice.
Dopo quarant'anni la ragazza si ricordava ancora di me, e io di lei, ed entrambi pensavamo che l'altro ci abbia silenziosamente benedetto per il resto della vita.

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