20161110

#1438

Amava Pynchon non perché lo facesse sentire un iniziato della letteratura, ma perché gli lanciava delle sfide intellettuali. La sua prosa pirotecnica, pressoché aliena, i dialoghi ellittici, da wit-com così sofisticata da tenedere all'aleatorio per sublimazione, le descrizioni rigogliose, lussureggianti come zone di penombra in foreste tropicali, e trame altrettanto fitte, abitate in multiproprietà da personaggi con anagrafiche contorte come sciarade... E tanta, tanta, tanta paranoia strisciante e seducente. Erano sfide che gli piaceva non solo accettare – leggendo i suoi libri fino alla fine – ma anche, a volte ma solo a volte, vincere – convincendosi di averli capiti. Proprio come le barzellette del New Yorker.

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