20110406

#110

Il piccolo indio odora di pasta fresca, legna e sudore, come un pizzaiolo. Attacca a parlarmi anche se non ho evidentemente nessuna voglia di fare conversazione. Avrà sì e no trent'anni, ma ne dimostra una decina in più.
"Non riesco a dormire," dice cercando il mio sguardo. "Sono a pezzi."
Valuto per qualche istante se rispondere o restar zitto. Il suo berrettino è giallo, con una scritta rossa sulla visiera.
"Come mai?"
Si punta un dito alla testa.
"I pensieri," sussurra. Poi mi mostra la busta coi medicinali, anch'essa gialla. "Questi non mi fanno niente."
"Non dovresti provare a risolvere il problema del sonno," mi sento consigliare, "ma quello che ti causa il problema."
"Impossibile," dice.
"Impossibile," ripeto.
Gli altri pazienti si sventolano o si stiracchiano sulle poltroncine scomodamente profonde della sala d'attesa, mentre noi restiamo a considerare il senso di quel che ci siamo detti, che intanto si è cristallizzato nello spazio tra noi.
"Il tempo guarisce ogni cosa," dico dopo un po'.
"Impossibile," ripete lui, "è finita."
"C'è sempre tempo per essere felici."
"Sì, ma la felicità dipende dagli altri."

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